L´angolo di ugo: strategia napoleonica


Chi è Ugo?
E’ il nostro esperto di storia militare: gentilmente ci ha offerto questo file su Napoleone.
Leggetelo! Sarà molto interessante!



STRATEGIA DELLA GUERRA NAPOLEONICA

Il nome di Napoleone è quasi istintivamente associato alla perfezione nell’arte militare, è quindi il caso di esaminare brevemente i suoi principi ispiratori.
La sua strategia, intesa come direzione generale delle operazioni, segnò una frattura con quella tardo settecentesca. La guerra dei sovrani europei di quest’epoca non ha una componente di ostilità ideologica, non mira a distruggere la nazione, ma a strappare al nemico province o vantaggi dinastici. Gli eserciti sono di mestiere, con una non trascurabile componente di stranieri, hanno dimensioni relativamente ridotte, sono guidati da un’ufficialità quasi totalmente aristocratica. Le operazioni sono per lo più improntate alla massima prudenza, la manovra prevale decisamente sulla battaglia. Un esercito è un bene prezioso e solo in caso di necessità lo si arrischia in uno scontro campale che può distruggerlo o mutilarlo. Parimenti, un inseguimento prolungato poteva portare alla dissoluzione di un’armata vittoriosa a causa delle diserzioni, quindi lo sfruttamento del successo non era mai definitivo. La mobilità degli eserciti era frenata anche dal sovrabbondante bagaglio degli ufficiali. Nell’esercito prussiano, il più mobile, un capitano aveva da tre a cinque quadrupedi. Le operazioni subiscono soste invernali più o meno lunghe, altre pause sono imposte da trattative laboriose o da repentini passaggi di campo fra i contendenti. Una certa rottura con questa prassi si può notare nella condotta di Federico II, il più spregiudicato sovrano di quest’età, specie nella ricerca dello scontro.

Un deciso cambiamento di rotta fu imposto dalla Rivoluzione Francese. Le vecchie armate sono soppiantate da un nuovo esercito di leva, molto più numeroso e motivato da principi diversi. La defezione o l’inaffidabilità di gran parte dei vecchi ufficiali spalanca immense possibilità a nuovi talenti, tra i quali emergerà il giovane generale Bonaparte. E’ in queste armate che il futuro imperatore saprà trovare lo strumento che lo porterà al culmine del successo.
Durante le prime guerre rivoluzionarie, l’esercito francese non fu guidato con particolare finezza, anzi, i suoi punti di forza erano il numero, l’entusiasmo e il mancato rispetto dei canoni guerreschi dell’età precedente, fattore che garantiva un certo effetto sorpresa.
Con il tempo e l’esperienza la truppe riuscirono ad applicare meccanismi tattici più ordinati.
Sul piano dell’organica, armate così numerose vennero divise in divisioni e corpi d’armata, formazioni quest’ultime che possono essere considerate eserciti in miniatura, dotate di un’equilibrata composizione di fanteria, artiglieria e cavalleria.
Una divisione aveva 10 – 12000 uomini, un corpo d’armata era costituito da 2 o 3 divisioni ed alcune brigate di cavalleria leggera.
Bonaparte non creò il suo esercito, ma si limitò ad alcune modifiche secondarie. Fu l’uso spregiudicato che sancì il successo.

Da un punto di vista tecnologico le guerre rivoluzionarie e dell’Impero non conobbero alcuna novità rispetto all’età precedente.
L’ironia del destino volle che una grande nazione, nel riuscito tentativo di creare uno strumento in grado di difenderla dall’assalto concertato dalle altre potenze europee, forgiasse una macchina da guerra molto al di là delle sue intenzioni, capace di portare l’offesa a migliaia di chilometri dalla patria.
Scopo di Napoleone fu sempre l’annientamento del nemico, la sua completa distruzione. Privilegiò sempre la strategia offensiva: quando sentiva che una coalizione di forze avverse si stava preparando contro di lui, prendeva l’iniziativa. Strettamente legato a questo concetto è quello di sorpresa: l’attacco iniziale era portato con un piano operativo ben preciso su un nemico che poteva solo cercare di indovinare le intenzioni francesi. Se Napoleone imprimeva una condotta sufficientemente dinamica alle operazioni, l’iniziativa non gli sfuggiva: volendo paragonare la cosa a un war-game che si giochi per turni, Bonaparte si riservava il primo, facendo in modo che le mosse dell’avversario fossero la conseguenza delle sue. Sul piano pratico schierava le sue truppe su un fronte molto vasto in modo da creare la massima incertezza sulla direttiva di marcia di ogni corpo d’armata. Nell’aprile 1796 l’armata d’Italia era schierata su un fronte di 120 chilometri, nel 1805 la Grand Armée teneva uno schieramento di 200 chilometri tra Strasburgo e Wurtburg.
Uno schermo di formazioni di cavalleria leggera proteggeva la marcia dell’Armée e rendeva molto difficile la ricognizione di quella avversaria. La confusione era aumentata da false notizie diffuse dal servizio d’informazioni francese e da mosse diversive e finte ottenute con marce e contromarce.
La mobilità appunto fu il punto forte del sistema: le truppe vivevano delle risorse del paese e sviluppavano una incredibile mobilità: nel 1796 il generale Augerau percorse 85 chilometri in 36 ore, Davout nel 1805 raggiunse Austerlitz con una epica marcia di 140 chilometri in 48 ore!
Mentre i vari corpi d’armata, composti ognuno di alcune decine di migliaia di uomini, si protendevano come tentacoli di una piovra, l’imperatore che cosa faceva?
Con uno sforzo mentale degno di un computer riusciva a mantenere un’incredibile visione complessiva della situazione emanando, se era il caso, modifiche agli ordini di marcia e ai piani stabiliti, se il comportamento del nemico lo richiedeva.
E’ quasi inutile spiegare che l’essenza di ogni manovra strategica consiste nel marciare separati ma nel colpire uniti, concentrando il massimo sforzo su una parte limitata del dispositivo avversario in modo da avere una superiorità schiacciante. Tre corpi d’armata avevano una disposizione adatta a rendere incerto fino all’ultimo il luogo ed il tempo della concentrazione finale e d’altronde la dislocazione era tale che diverse soluzioni erano possibili, a seconda dell’evolversi della situazione. Se anche la ricognizione nemica riusciva a scoprire alcuni movimenti, era difficile che il comandante avversario potesse farsi un’idea corretta della situazione, perché le informazioni che riceveva, giuste o sbagliate, e i suoi eventuali ordini erano poco più veloci delle truppe in marcia. Quando il magico corso (il generale Napoleone!) aveva deciso di sferrare il colpo, imprimeva un’ulteriore accelerazione alle marce fissando la preda con un attacco frontale, mentre altri corpi d’armata aggiravano l’esercito nemico tagliandolo fuori da comunicazioni, rifornimenti e rinforzi. A questo punto l’avversario era costretto a subire un attacco concentrico o ad uscire prendendo lui stesso l’offensiva, più o meno nel luogo in cui l’imperatore aveva previsto.
Dopo che la battaglia era stata vinta, fondamentale era l’inseguimento per approfittare del disordine e dello sgomento che si era impadronito del nemico. Dopo la battaglia di Sena del 1806 la cavalleria francese operò un inseguimento in profondità che si sviluppò per centinaia di chilometri. In questi frangenti piccoli distaccamenti riuscirono, con audaci azioni, a ottenere addirittura la resa di alcune fortezze!
Il tipo di manovra sommariamente descritta è nota come “manoeuvre sur le derrière” e veniva di solito attuata in caso di superiorità o parità numerica.
In caso di grave inferiorità poteva essere usata la cosiddetta “manovra della posizione centrale”. Considerato lo schieramento nemico a difesa di una certa linea, Napoleone decideva, sempre di sorpresa come nel caso precedente, di romperlo in due tronconi nel punto più opportuno. Conquistata la posizione centrale, bisognava concentrare il grosso delle forze manovrando per linee interne su un solo obiettivo, mentre l’altra metà dei nemici era tenuto a bada da forze di copertura. Se attaccava, doveva compiere un lungo giro per linee esterne se voleva evitare la posizione centrale.
Ovviamente questa strategia aveva i sui difetti. Disfatto un avversario, non si poteva lanciare un inseguimento immediato, perché il pericolo incombeva alle spalle.
Questa manovra fu usata frequentemente nella campagna d’Italia, di rado all’apogeo dell’Impero e nell’ultima campagna di Waterloo. L’Armée du Nord s’incuneò con un movimento a sorpresa tra Inglesi e Prussiani e conquistò una eccellente posizione centrale (Quatre-bras). Napoleone aveva pensato di distruggere prima Wellington, ma poiché i Prussiani si erano fermati in una posizione più esposta, cambiò idea. Nella battaglia di Legny riuscì a batterli, ma non ad annientarli, perché il corpo d’armata di D’Erlon , sballottato tra ordini e contrordini, marciò per tutto il pomeriggio tra Legny e Quatre-bras, dove il Maresciallo Ney stava tenendo a bada gli Inglesi, senza impegnarsi in nessuna delle due posizioni. Rinunciando ad inseguire i Prussiani, anche per l’oscurità, l’Imperatore si volse contro gli Inglesi e finì per essere colto alle spalle prima di aver conseguito un successo sostanziale. In questo caso Grouchy che avrebbe dovuto intercettare Blucher fallì nel suo compito. Tornando alla “manoeuvre sur le derrière”, il punto debole era l’eventuale mancato coordinamento tra i vari corpi. A Eylau Napoleone si trovò ad affrontare con forze inferiori i Russi decisi a battersi. Non volle rompere il contatto, sicuro che, conformemente ai suoi ordini, i corpi di Davout e Ney stessero sopraggiungendo per avvolgere i fianchi dell’avversario. Arrivò solo Davout nei tempi previsti, mentre la tarda apparizione (ore 16) di Ney servì a malapena a controbilanciare la comparsa di un intero corpo d’armata prussiano (generale Lestocq) che si supponeva lontano e che si era avvicinato inosservato. La concentrazione non si effettuò nei tempi previsti ed i Russi poterono ritirarsi con il favore della notte.
Evidentemente nessuno è perfetto!

Ugo S.



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