I poveri secondo Smith


Lo scozzese Adam Smith nella sua celebre opera La Ricchezza delle Nazioni, pubblicata nel 1776, espone tutta una serie di considerazioni e propone un insieme di problemi, che costituiscono la base della attuale scienza dell’economia. Esaminiamo le osservazioni di Smith sulla questione della povertà nell’Inghilterra del ‘700.

Aumentato potere d’acquisto per i meno abbienti
Il nostro brano inizia esaminando i miglioramenti avvenuti nell’economia del ‘700, secolo che segna per una parte dell’Europa un cambiamento rispetto al precedente ‘600, che invece è stato un periodo di guerre, carestie e pesti. L’Europa settecentesca conosce un aumento della popolazione e questo è il segnale di migliorate condizioni di vita legate ai progressi avvenuti in campo agricolo e non solo in quello.
Si diffonde sempre più il consumo delle patate, bene alimentare originario dell’America e quindi noto in Europa solo dopo il ‘500. La patata è una pianta dalle alte rese, che con un piccolo appezzamento di terra può offrire un raccolto annuale sufficiente per una intera famiglia; per questo si è ampiamente diffusa in Europa soprattutto come cibo dei poveri.
Si diffondono sempre più in agricoltura, soprattutto in Inghilterra, tecniche e strumenti che aumentano le rese dei campi, con benefiche conseguenze su tutta la popolazione. Viene sostituito l’aratro alla zappa per la coltivazione di certi ortaggi oppure aumenta la produzione di certi frutti, precedentemente importati da altri paesi. Ma ascoltiamo Smith…

“La ricompensa reale del lavoro, la quantità reale di cose necessarie e comode della vita che esso può procurare al lavoratore, è forse aumentata durante questo secolo in misura maggiore del suo prezzo in moneta. Non soltanto il grano è diventato molto meno caro, ma anche molte altre cose da cui i poveri industriosi traggono una quantità di cibi gradevoli e sani sono diventate meno care. Le patate, ad esempio, nella maggior parte del regno costano ora meno della metà del prezzo che costavano trenta o quarant’anni fa. Lo stesso si può dire delle rape, delle carote, dei cavoli, che una volta si coltivavano solo con la zappa, mentre ora si coltivano comunemente con l’aratro. Anche tutti i tipi di ortaggi sono diventati meno cari. La maggior parte delle mele, e persino delle cipolle consumate in Gran Bretagna, nel secolo scorso veniva importata dalle Fiandre.”


Le manifatture
Non solo l’agricoltura, ma anche le manifatture nel ‘700 si perfezionano a tal punto da offrire più prodotti, che vengono messi sul mercato a prezzi più convenienti, con grande vantaggio delle famiglie dei lavoratori non abbienti. Ricordiamo che nel Settecento proprio in Inghilterra ha inizio quella importante trasformazione dei centri produttivi che porterà alla “prima rivoluzione industriale”.

“I grandi progressi nelle manifatture di tele e stoffe di lana comuni forniscono i lavoratori di abiti migliori e meno cari; e quelli nelle manifatture metallurgiche più comuni li riforniscono di strumenti di lavoro migliori e meno cari, oltre che di molti oggetti domestici gradevoli e comodi.
Sapone, sale, candele, cuoio e liquori fermentati sono in effetti molto rincarati, soprattutto per le tasse che sono state caricate su questi generi. Ma la quantità di questi generi che i poveri che lavorano hanno necessità di consumare è così piccola che l’aumento del loro prezzo non compensa la diminuzione del prezzo di tante altre cose“.


Miglior tenore di vita
Continua Adam Smith…

“La solita lamentela contro il fatto che il lusso si diffonde persino nei ceti più bassi del popolo e che i poveri che lavorano non vogliono più accontentarsi dei cibi, degli abiti, e degli alloggi di cui si consideravano soddisfatti in passato, può convincerci che non è solo il prezzo in moneta del lavoro a essere aumentato, ma anche la sua ricompensa reale.
Questo progresso nelle condizioni dei ceti più bassi del popolo deve essere considerato un vantaggio o un inconveniente per la società? La risposta sembra a prima vista agevole. Servi, lavoratori e operai di diverso genere rappresentano la parte di gran lunga maggiore di ogni grande società politica. Ma tutto ciò che fa progredire le condizioni della maggioranza non può mai essere considerato un inconveniente per l’insieme. Nessuna società può essere florida e felice se la grande maggioranza dei suoi membri è povera e miserabile. Oltretutto, è semplice questione di equità il fatto che coloro che nutrono, vestono, alloggiano la gran massa del popolo debbano avere una quota del prodotto del loro stesso lavoro tale da essere loro stessi passabilmente ben nutriti, vestiti e alloggiati“.

Eccoci giunti ad un punto fondamentale del secolo XVIII: un benessere diffuso e generalizzato è un bene o no per la società? A questa domanda si possono dare risposte diverse, anzi opposte: c’è chi vede un pericolo sociale nelle aumentate esigenze dei ceti poveri; mentre c’è chi considera un bene per tutti il fatto che i poveri, che sono la maggioranza della società, non vivano in condizioni miserevoli.
Smith rispecchia quest’ultima posizione mettendosi in linea con la cultura settecentesca, legata alla filosofia dell’Illuminismo, che ha esaltato il progresso umano, intendendo il progresso non solo dei ceti ricchi e privilegiati, ma di tutta quanta l’umanità, compresi gli indigenti. E’ proprio dei filosofi illuministi il principio secondo cui una buona società non possa definirsi prospera, se lascia i suoi numerosi poveri nella miseria.
Vediamo quanto afferma un illuminista francese, Denis Diderot, che a proposito dell‘indigenza sostiene quanto segue.
”Indigente è uomo che è privo delle cose necessarie alla vita, in mezzo ai suoi simili che godono, con un fasto che lo offende, di tutte le cose superflue. Una delle conseguenze più dolorose della cattiva amministrazione è quella di dividere la società in due classi di uomini, dei quali gli uni vivono nell’opulenza e gli altri nella miseria”.

La povertà e la fertilità
Riprendendo la lettura di Smith, osserviamo le riflessioni dello studioso scozzese sul rapporto povertà e fertilità: riflessioni di una attualità sorprendente che ricordano la odierna divisione fra i paesi ricchi del nord del mondo e quelli poveri del sud. Stranamente i ceti - o anche i popoli - che più contribuiscono all’incremento demografico non sono quelli benestanti, ma proprio quelli più poveri: basti confrontare la madre delle più povere regioni scozzesi con l’elegante signora, ricca ma sterile.

“La povertà, sebbene indubbiamente scoraggi il matrimonio, non sempre lo impedisce. Sembra persino che sia favorevole alla procreazione. Una donna denutrita delle Highlands partorisce spesso più di venti bambini, mentre un’elegante signora rimpinzata di cibo spesso non riesce a partorirne uno, e in genere si esaurisce con due o tre. La sterilità, così frequente fra le donne del bel mondo, è rarissima tra quelle di condizione inferiore. Il lusso, nel bel sesso, se accende la passione del piacere, sembra che affievolisca sempre, e spesso distrugga la capacità di procreare“.

Mortalità infantile
Smith non è indifferente alle tristi conseguenze della connessione fra povertà e fertilità, che sono l’alta mortalità infantile, e ci presenta un quadro chiaro e preciso, quasi un breve abbozzo statistico, sui bambini poveri e lasciati senza cure.

“Ma la povertà, per quanto non impedisca necessariamente la procreazione, è estremamente sfavorevole all’allevamento dei bambini. La tenera pianta è prodotta; ma in un suolo così freddo e in un clima così rigido presto appassisce e muore. Ho spesso sentito dire che nelle Highlands non è infrequente il caso di una madre che ha partorito venti figli e a cui ne sono rimasti vivi solo due. Molti ufficiali di grande esperienza mi hanno assicurato che con tutti i figli dei soldati di un reggimento non solo non si riesce ad assicurare il complesso del reclutamento, ma non si riesce neppure ad avere abbastanza tamburini e pifferi. Eppure in nessun luogo si vede un maggior numero di bei bambini come attorno ad un accampamento di soldati; ma sembra che pochissimi raggiungano i tredici o quattordici anni. Esistono luoghi in cui la metà dei bambini che nascono muore prima dei quattro anni; in molti luoghi muore prima dei sette anni; e in quasi tutti prima dei nove o dieci. Questa grande mortalità si troverà però dovunque soprattutto tra i bambini della gente comune che non può dedicare loro le stesse cure di quella di condizioni migliori“.


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