Enciclopedia: manifattura


L’Enciclopedia francese, opera settecentesca espressione della filosofia degli illuministi francesi, è anche una importante testimonianza dei passati sistemi produttivi: basti pensare alle preziose tavole dei suoi 11 volumi dedicati alla scienza ed alla tecnica.
Nel nostro caso noi cerchiamo di capire che cosa sia stato il lavoro nel passato, leggendo fra le numerose voci della Enciclopedia quella sulla “manifattura”.

CHE COSA E’ UNA MANIFATTURA NEL SETTECENTO?
Leggiamo:
“Manifattura: luogo in cui numerosi operai si occupano di uno stesso tipo di prodotto…
Con la parola minifattura si intende comunemente un numero considerevole di operai riuniti nello stesso luogo per compiere un certo tipo di opera sotto gli occhi di un imprenditore. Ed è naturale che, siccome ve ne sono diverse di questo tipo, e soprattutto i grandi opifici attirano l’attenzione ed eccitano la curiosità, tale idea si sia così ristretta. Tuttavia lo stesso nome deve essere dato anche ad un altro tipo di fabbrica: quella che, non essendo riunita all’interno di un solo recinto o anche in una sola città, è composta da tutti coloro che vi si impegnano e vi concorrono secondo la loro attitudine particolare, senza cercarvi altro interesse che quello che ciascuno dei partecipanti ne trae per se stesso. Si possono quindi distinguere due tipi di manifatture: le une riunite, le altre disperse”.

Dalla Enciclopedia francese apprendiamo che nel ‘700 il termine manifattura corrisponde più o meno alla nostra fabbrica moderna, ossia a un centro produttivo in cui sono riuniti sotto una unica guida molti operai.
Gli illuministi, però, distinguono due diversi generi di organizzazione: le manifatture riunite e le manifatture disperse.

LE MANIFATTURE RIUNITE
“Quelle del primo genere esistono necessariamente per quelle opere che possono essere eseguite solo da un gran numero di mani unite insieme, che richiedono, sia per il primo impianto, sia per le altre operazioni che vi si fanno, investimenti considerevoli …… e, infine, quelle che per loro natura devono essere poste in un determinato terreno, come le forge (officine per lavorazione del ferro), le fonderie, le trafilerie, le vetrerie, le manifatture di porcellana, le tappezzerie ed altre simili. E’ necessario, perché le manifatture di questo tipo siano utili agli imprenditori:
1. che gli oggetti di cui si occupano non siano soggetti ai capricci della moda…..;
2. che il profitto sia sufficientemente stabile e sufficientemente considerevole da compensare tutti gli inconvenienti ai quali si trovano necessariamente esposte;
3. che vengano impiantate, per quanto possibile, nello stesso luogo in cui si raccolgono e si preparano le materie prime, in cui si possano facilmente trovare gli operai necessari, e in cui l’importazione di queste materie prime e l’esportazione dei prodotti possa realizzarsi facilmente e con poca spesa.
Infine è necessario che siano protette dal governo. Questa protezione deve consistere nel facilitare la fabbricazione dei prodotti sia moderando i diritti sulle materie prime necessarie, sia accordando privilegi ed esenzioni agli operai più necessari, quelli il cui lavoro richiede conoscenze ed attitudini particolari; tuttavia, riducendole agli operai di questa specie, una maggiore estensione sarebbe inutile alla manifattura e troppo onerosa per il paese. Un altro mezzo per proteggere le manifatture è quello di diminuire i diritti di esportazione, e quelli di traffico e di dettaglio all’interno dello Stato.
E’ questa l’occasione per dire che la prima, la più generale e la più importante massima da tenere presente nell’impianto delle manifatture, è di non permetterne nessuna (fuori dai casi di assoluta necessità) il cui scopo sia quello di utilizzare principalmente materie prime importate dall’estero, soprattutto se vi si può supplire con quelle del paese, anche se di qualità inferiore”.

La descrizione su esposta ci rimanda in parte a produzioni legate alla metallurgia, attività costosa e faticosa; in parte alle manifatture reali promosse nella seconda metà del ‘600 da Jean-Baptiste Colbert, il celebre ministro delle finanze di Luigi XIV.
Per aumentare la ricchezza del paese il Colbert fece sorgere una serie di industrie – dette appunto manifatture reali – specializzate in prodotti di lusso, come specchi, mobili, pizzi e tessuti pregiati. Questi prodotti erano destinati a splendide residenze, come la reggia di Versailles, e soprattutto al commercio estero: secondo il Colbert servivano ad attirare dai paesi stranieri flussi di denaro necessari alla prosperità della Francia. I beni di lusso francesi furono merci apprezzate e diffuse in tutta Europa: la Francia dettò legge nell’eleganza e raffinatezza dei costumi.
Le manifatture inoltre furono una importante spinta per la tecnologia francese: quando si svilupparono, parallelamente si svilupparono anche le conoscenze scientifiche. Basti ricordare a Parigi la fabbrica Gobelins per gli arredi di lusso, a Beauvais e a Aubusson le manifatture di tessuti pregiati, a Lione le grandi seterie, a Saint Gobain la produzione di vetri e di specchi, a Limoges le preziose porcellane. E l’elenco si potrebbe ancora continuare.

LE MANIFATTURE DISPERSE
“L’atro tipo di manifattura è quella che può essere chiamata dispersa;…… tutti i prodotti che possono essere lavorati in casa, e di cui ciascun operaio può procurarsi per conto suo o per mezzo di altri le materie prime da lavorare nell’ambito della propria famiglia, con l’ausilio dei figli, di domestici o di lavoranti, possono e devono costituire l’oggetto di queste fabbriche disperse. Sono di questo tipo le fabbriche di panno, di rascia < lana di Rascia, regione della Serbia >, di tela, di velluto, piccole stoffe di lana e di seta o altre simili”.

Qui si allude ad un tipo di attività produttiva, diffuso nel passato in certe aree d’Europa : è il lavoro a domicilio, diviso fra la campagna e la città.
L’imprenditore che commissionava il lavoro - una sorta di pre-capitalista che risiedeva in città e disponeva di buoni mezzi finanziari - acquistava la materia prima, per esempio la lana grezza, e la trasferiva in campagna. Qui veniva distribuita ai contadini che, nei mesi di calma dei lavori agricoli, in casa propria filavano e tessevano pezze grezze. L’imprenditore le ritirava e le portava in città, dove artigiani specializzati curavano la fase della rifinitura. Infine sempre l’imprenditore, che era il soggetto più forte del sistema, realizzava buoni profitti immettendo i tessuti nel mercato.
Noto anche come domestic system, il lavoro a domicilio contribuì largamente, dopo il ‘500, allo sviluppo dell’industria tessile in Inghilterra.
Fu applicato inoltre alla metallurgia e ad altri settori, in cui gli imprenditori non solo procuravano la materia prima da lavorare , ma anche quei macchinari piuttosto costosi che i contadini-operai non potevano possedere in proprio.

CONFRONTI
I due tipi di manifatture sono poi messi a confronto ed emergono interessanti osservazioni.

Per le manifatture riunite si osserva:
“Una manifattura riunita può essere impiantata e sviluppata con grandi spese di costruzione degli opifici, di manutenzione di questi edifici, di direzione, di soprastanti (per esempio capireparto), contabili, cassieri, preposti, inservienti e simili e, infine, con grandi approvvigionamenti: è necessario che tutte queste spese si ripartiscano sui prodotti che si fabbricano; le merci che ne escono devono tuttavia avere il prezzo che il pubblico è abituato a pagare e che esigono i piccoli produttori. Da tutto ciò discende quasi sempre che le grandi imprese di questa specie si rivelano rovinose per coloro che vi si impegnano per primi, e diventano redditizie solo per coloro che profittano a buon mercato del dissesto dei primi e che, riformando gli abusi, le amministrano con semplicità ed economia: i numerosi esempi che si potrebbero citare provano senza dubbio questa verità”.
Per le manifatture disperse si dice:
“Le fabbriche disperse non sono esposte a questi inconvenienti (quelli delle manifatture riunite). Un tessitore, per esempio, usa la lana che egli stesso ha raccolto o ne compra ad un prezzo mediocre, e la lavora quando ne ha il tempo su un telaio che ha in casa, dove fa la sua stoffa altrettanto bene che in una fabbrica impiantata con grandi spese; egli è nello stesso tempo il proprio direttore, caporeparto, contabile, cassiere, ecc…, si fa aiutare dalla moglie e dai figli, o da uno o più lavoranti con i quali vive; egli può, quindi, vendere la sua stoffa ad un prezzo molto più conveniente che l’imprenditore di una manifattura.”

Dal confronto e dalle riflessioni comprendiamo che ancora non siamo nel periodo della industrializzazione: non è avvenuto il salto dalla produzione artigianale, basata prevalentemente sulle operazioni manuali dell’uomo, alla produzione industriale, fondata sull’uso di macchine che premettono di produrre su vasta scala, concentrando molti operai in uno stesso luogo.
Nella nostra lettura fra le manifatture riunite, che sono quelle più simili alla produzione industriale, ed il lavoro a domicilio la preferenza va a quest’ultimo, ritenuto più conveniente e facile da gestire. Questo rispecchia le teorie dei fisiocratici, studiosi di economia attivi nella Francia della metà del ‘700. Il più noto è un medico, Franҫois Quesnay, che collaborò alla stesura della stessa Enciclopedia. Questo era un critico del già ricordato Colbert, sostenitore di quel mercantilismo, che vedeva proprio nelle manifatture riunite un’importante fonte di ricchezza per la Francia. I fisiocratici invece ritenevano la campagna – o meglio la natura, come dice la stessa parola fisiocrazia che significa potere della natura - la grande risorsa capace di produrre un valore aggiunto, ossia un di più di benessere a vantaggio di tutto lo stato.
Il favore per la manifattura dispersa viene ribadito in seguito, anzi aumenta ancor più quando si analizzano le condizioni di lavoro che sono presenti in città e in campagna.

MEGLIO LAVORARE IN CAMPAGNA O IN CITTA’?
La risposta è : meglio in campagna. Infatti vediamo che cosa dice l’Enciclopedia.

“Nella grande manifattura tutto si fa al suono di campana; gli operai sono obbligati a lavorare con maggiore impegno e sono spesso rimproverati. Gli impiegati abituati con gli operai ad un’aria di superiorità e di comando, che in verità è necessaria con la moltitudine, li trattano duramente e con disprezzo, per conseguenza questi operai sono più cari o si fermano nella manifattura solo finché non abbiano travato un altro lavoro altrove.
Presso il piccolo fabbricante, il lavorante è il compagno del padrone, vive con lui, come suo eguale, è trattato come uno di famiglia, gode di maggior libertà e può infine lavorare in casa. Tutto ciò si vede ogni giorno nei luoghi dove vi sono delle manifatture riunite e dei fabbricanti particolari”.

La manifattura riunita richiede una complessa organizzazione, con costosi strumenti da lavoro e numerosi dipendenti. Gli operai vi lavorano con più disciplina e con un orario rigido, scandito al suon di campana. Sono trattati con durezza, a volte anche mortificati, e non con quella umanità presente invece nei piccoli centri di campagna. – Ma questo sarà poi sempre vero? -.
La lettura continua facendo l’analisi del mondo operaio.

DUE TIPI DI OPERAI: UNO PIU’ CARO, L’ALTRO MENO CARO
“I soli operai che le manifatture riescono ad impiegare sono quelli che non possono trovar lavoro presso i piccoli fabbricanti, o spostati che lavorano occasionalmente e che , per il resto, battono la campagna fin che hanno qualcosa da spendere. L’imprenditore è costretto a prenderli come li trova, poiché il lavoro deve essere portato avanti; il piccolo fabbricante, che è padrone del proprio tempo e che non deve pagare spese straordinarie mentre il suo telaio è inutilizzato, sceglie e attende l’occasione favorevole con svantaggi molto minori…
Tutti i vantaggi sopra ricordati hanno un rapporto più diretto con l’utilità personale dell’industriale e del piccolo imprenditore, che con quella generale dello stato: ma se si considera questo interesse generale, non vi sono quasi più paragoni da fare … E’ certo che il primo e più generale (interesse dello stato) è di utilizzare il più possibile il tempo ed il lavoro dei sudditi; che quanto più è diffusa l’inclinazione per il lavoro e l’industria, tanto minore è il prezzo della manodopera; che quanto è minore è questo prezzo, tanto più vantaggiosa è la vendita delle merci, in quanto fornisce i mezzi di sussistenza ad un maggior numero di persone, e in quanto il paese conquista la preferenza su quelli nei quali la manodopera è più costosa, potendo il commercio dello stato offrire all’estero merci di egual qualità ad un prezzo più basso.”

Qui emerge una fondamentale considerazione sulle attività produttive: queste rendono, se sanno offrire una merce di qualità buona ad un prezzo conveniente. Già si comprende l’importanza della concorrenza, che sarà un punto-chiave della successiva economia industriale.
Nel Settecento la concorrenza è possibile più con il contadino, che già ha un suo lavoro, che con l’operaio delle grandi manifatture, che fra l’altro qui viene descritto con caratteri poco lusinghieri. E’ uno sbandato, occupato saltuariamente, che va vagabondando finché ha soldi in tasca: il tipico operaio non qualificato, purtroppo esposto anche ai rischi della disoccupazione. Senza dubbio nelle seterie di Lione o nelle vetrerie di Saint Gobain lavoravano non pochi semplici manovali, ma il perno della fabbrica erano soprattutto gli operai con una elevata specializzazione, che dovevano essere pagati adeguatamente. Così, fra i costi degli impianti e quelli della manodopera qualificata, queste manifatture diventavano redditizie solo a una condizione: dovevano produrre beni costosi, destinati ai ricchi, che non si preoccupavano minimamente del rapporto fra prezzi e qualità.
La manifattura dispersa nelle campagne, invece, poteva soddisfare con la sua organizzazione più snella e meno costosa il mercato di largo consumo, quello in cui si vendono bene le merci buone e non care.
I filosofi illuministi dell’Enciclopedia, che pensavano ad un generale miglioramento di vita dei francesi, non si preoccupavano tanto dei mercati di nicchia, quelli per soli ricchi, ma proprio di quelli per un pubblico vasto.
La storia dimostrerà, contro i principi dei fisiocratici, che non sarà il lavoro svolto in campagna a produrre merci di largo consumo, ma proprio la grande industria. Tuttavia illuministi e fisiocratici gettarono le basi per importanti teorie sui costi del lavoro e sui prezzi di mercato, anticipando molti problemi della successiva economia industriale.

COME LAVORANO LE MANIFATTURE DI CAMPAGNA?
A costi convenienti, poiché sono laboriose e di modeste pretese, come leggiamo nell’Enciclopedia.

“ … Un agricoltore, un giornaliero, o altro lavoratore di questo questa specie, ha nel corso dell’anno un gran numero di giorni e di ore in cui non può lavorare la terra o attendere al suo lavoro ordinario. Se quest’uomo ha in casa un telaio per fabbricare panno, tela, o piccole stoffe, egli può utilmente impiegare questo tempo che altrimenti che altrimenti sarebbe perso per lui e per la collettività. E poiché questo lavoro non rappresenta la sua occupazione principale, egli non lo considera come fonte di un profitto elevato a differenza di chi ne fa la sua unica risorsa. Inoltre questo lavoro rappresenta per lui una specie di diversivo rispetto ai più faticosi lavori che comporta l’agricoltura e perciò egli è in condizione e ha l’abitudine di contentarsi di un profitto modesto. Questi piccoli profitti moltiplicati costituiscono beni di notevole importanza. Essi contribuiscono al mantenimento di quanti se li procurano e mantengono la manodopera ad un basso prezzo….
Perché tutto vada bene, è necessario che l’agricoltura sia l’occupazione del maggior numero di persone e che, tuttavia, almeno una gran parte degli agricoltori si occupino anche di qualche altro mestiere, soprattutto nei periodi di tempo in cui non possono lavorare in campagna. Questi tempi persi per l’agricoltura sono molto frequenti. Non vi è paese più agiato di quello in cui è diffusa questa inclinazione per il lavoro…. Su questo principio sono fondate tutte le riflessioni che compongono questo articolo. Chi lo ha redatto ha visto con i suoi occhi le piccole fabbriche far fallire le grandi senza altra manovra che quella di vendere a miglior mercato, ed ha anche visto grandi stabilimenti vicini al fallimento solo per il fatto che erano grandi. I commercianti vedendoli sovraccarichi di merci e nella necessità pressante di vendere per far fronte ai loro impegni o alle spese correnti, si passavano la parola per ritardare gli acquisti e costringevano l’imprenditore ad abbassare i prezzi, spesso in perdita. E’ vero che l’autore ha anche visto, e lo deve dire ad onore del ministero, il governo venire in aiuto di queste manifatture e aiutarle a sostenere il loro credito e il loro stabilimento”.

Tipica osservazione fisiocratica: l’agricoltore virtuoso lavoratore, il mercante freddo – e avido - calcolatore|
E lo stato come si comporta? Interviene, saggiamente, a sostegno delle attività in crisi per evitare danni più vasti. Ma i fisiocratici sono per il lavoratore instancabile, che deve essere libero di sviluppare tutte le sue potenzialità economiche senza l’intervento dello stato. Si tratta della libertà in economia espressa nella famosa formula “laissez faire, laissez passer”, che si può tradurre in “lascia liberamente fare e lascia liberamente circolare le merci”.


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