Smith: primogenitura o maggiorascato


Perché nei secoli passati l’eredità dei beni di una famiglia riguardava i figli maschi ed escludeva le figlie femmine? Perché fra gli eredi maschi erano privilegiati i primogeniti? Per rispondere a questi interrogativi ci viene in aiuto una pagina di Adam Smith: filosofo ed economista scozzese del Settecento che riuscì a chiarire bene le questioni riguardanti le ricchezze familiari. Smith, nel terzo libro della sua opera “La Ricchezza delle Nazioni”,, parla proprio dell’istituto della primogenitura – noto anche come il maggiorascato -, secondo cui in passato, presso i nobili, solo il primogenito maschio ereditava per intero tutte le ricchezze terriere di famiglia, mentre erano estromessi dall’eredità i fratelli minori e le sorelle.
La primogenitura era poi connessa alla pratica della inalienabilità dei beni terrieri: il primogenito ereditava tutto, ma non poteva vendere, ossia alienare, le terre o parte delle terre ereditate, poiché le doveva trasmettere intere al suo successore. Il patrimonio doveva rimanere integro, passando da una generazione all’altra, secondo uno schema di successione lineare.

TERRE E POTERE
Smith fa risalire la primogenitura ai secoli del Medio Evo: quella fase dell’Europa occidentale, in cui crollò la grande organizzazione dell’Impero Romano sotto i colpi dei popoli germanici, che invasero gli spazi controllati in precedenza da Roma e ne occuparono le terre. Poiché i testi di storia indicano nel 476 l’anno della fine di Roma antica, le violente invasioni dei guerrieri germanici avvennero attorno al V secolo e continuarono nei secoli successivi a modellare la società europea. Si formò il feudalesimo, cioè una organizzazione dove coincidevano terra, ricchezza e potere, che si concentrarono in pochi grandi proprietari terrieri. Costoro divennero i signori feudali che furono gli antenati delle aristocrazie europee.
Furono poi gettate le basi del diritto di primogenitura e le terre divennero inalienabili. Leggiamo infatti nella Ricchezza delle Nazioni…

“La legge di primogenitura impedì che (le terre) fossero suddivise per successione; l’introduzione dell’inalienabilità impedì che venissero suddivise in piccole parti mediante alienazione”.

In breve Smith ci fa capire che i grandi possedimenti terrieri medioevali, ossia i feudi, divennero complessi di terre che, di generazione in generazione, dovevano rimanere uniti, come garanzia di forza e potenza, e pertanto non dovevano essere venduti o concessi ad altri, né in piccole parti né nel loro insieme. Infatti…

“Quando la terra, come i beni mobili, è considerata soltanto un mezzo di sussistenza e di godimento, la legge naturale di successione la divide, come i beni mobili, tra tutti i figli della famiglia; cioè tra tutti coloro la cui sussistenza e il cui benessere si può supporre siano ugualmente cari al padre. Questa legge naturale di successione ebbe quindi vigore tra i Romani, i quali non facevano distinzione tra primogenito e secondogenito e tra maschio e femmina nella successione delle terre, come noi non la facciamo nella distribuzione dei beni mobili. Ma quando la terra viene considerata come un mezzo di potere e di protezione, e non solo un mezzo di sussistenza, si giudicò fosse meglio che passasse indivisa a uno solo. In quei tempi di disordini (nel Medio Evo), ogni grande proprietario di terre era una specie di piccolo principe. I suoi conduttori erano i suoi sudditi. Egli era il loro giudice e, sotto certi aspetti, il loro legislatore in tempo di pace e il loro condottiero in tempo in tempo di guerra. Egli faceva la guerra a sua discrezione, spesso contro i suoi vicini e a volte contro il suo sovrano. La sicurezza di un possedimento fondiario e la protezione che il suo proprietario poteva dare a coloro che vi dimoravano dipendevano dunque dall’estensione. Dividerlo significava rovinarlo ed esporne ogni singola particella a essere oppressa e inghiottita dalle incursioni dei vicini. La legge della primogenitura viene perciò affermandosi, sia pure non immediatamente ma con il passar del tempo, nella successione dei possedimenti fondiari, per le stesse ragioni per cui era universalmente affermata nella successione delle monarchie, anche se non sempre al momento della fondazione. Perché il potere, e di conseguenza la sicurezza della monarchia, non rischino di essere indeboliti dalla divisione, occorre che passino interi a uno dei figli.”

Qui con efficaci tratti è riassunto tutto un lungo processo avvenuto fra la fine di Roma antica ed i secoli centrali del Medio Evo. Ricordiamo che l’Impero Romano, iniziato alla fine del I secolo a.C. e terminato dopo 500 anni nel 476 d.C., rappresenta l’ultima fase di quella che gli storici definiscono l’Età Antica e che termina proprio con la caduta di Roma ad opera dei germani. Dopo le invasione germaniche inizia il Medio Evo, che dura ben un millennio e in cui si forma il sistema feudale. Gli storici hanno inoltre individuato due grandi periodi medioevali: l’Alto Medio Evo dal 476 al 1000; il Basso Medio Evo dal 1000 al 1492, anno della scoperta dell’America con cui inizia una nuova fase storica, l’Età Moderna.
Che cosa ci spiega Smith? Ci fa capire che nella Età Antica, quando Roma era riuscita a costruire una delle più potenti organizzazioni politiche della storia, gli eredi di un proprietario terriero, più o meno ricco, non temevano di andare incontro a trattamenti diversi per via del sesso o dell’età: tutti godevano di uguali diritti sull’eredità paterna. Smith definisce questa pratica “la legge naturale di successione” e chiarisce che i Romani la applicavano sia per i beni immobili, ossia le terre, sia per quelli mobili come il denaro. Tuttavia, quando i Germani si impossessarono delle terre di Roma antica distribuendole fra i loro guerrieri, decadde la grande esperienza politica e giuridica dei Romani: non si formarono più stati ben organizzati e prevalse la confusione fra ambito pubblico e ambito privato. I grandi proprietari terrieri non furono più soltanto padroni di patrimoni privati, ma anche autorità pronte ad esercitare pubblici poteri. Nei loro feudi, ossia nei loro possedimenti a volte molto vasti, potevano promulgare leggi, riscuotere tasse, arruolare soldati. In breve svolgevano le funzioni proprie dello stato, che appunto in quei secoli era debole e rappresentato in certi casi da un re e in altri casi da un imperatore: entrambi non abbastanza organizzati per controllare le terre dei nobili ed imporvi la propria autorità.
Tutto questo avvenne lentamente, infatti la legge della primogenitura non comparve fin dai primi secoli. Nell’Alto Medio Evo presso gli stati nati dopo il 476 - vedi i regni romano-barbarici come quello dei Franchi - o presso il grande Impero Carolingio, creato da Carlo Magno nell’800, dominò la tradizione germanica che considerava lo stato un bene privato di re o di imperatori. Per questo, alla morte di un capo politico, il territorio di un regno o dell’impero veniva ripartito fra gli eredi dividendolo in staterelli sempre più piccoli e per conseguenza sempre più deboli.
Fu così che, in un tormentato clima di continue guerricciole fra i nobili stessi o fra i nobili e il re, nessuno volle essere tanto debole da attirarsi gli attacchi altrui e si affermò il principio di mantenere integri i territori da una generazione all’altra. Ma a chi lasciare intatto tutto un feudo, che poteva essere una contea o un ducato o un marchesato, o meglio ancora tutto un regno?

LA FORTUNATA SORTE DEI PRIMOGENITI
Con grande acume Smith ci descrive nel seguito del brano come i potenti trovano un criterio chiaro e facile da applicare, che possa essere accettato dai figli che devono essere discriminati per dare ad uno solo di loro la fortuna di ereditare terre, potere, onori.

“A quale di loro debba essere data una preferenza così importante deve essere determinato da qualche norma generale, fondata non sulle dubbie distinzioni del merito personale, ma su una qualche semplice e chiara differenza che non consenta discussioni. Tra i figli di una stessa famiglia non ci può essere differenza più indistruttibile di quella del sesso e dell’età. Il sesso maschile viene universalmente preferito a quello femminile; e, a parità di ogni altra circostanza, il maggiore d’età è preferito al più giovane. Da ciò l’origine del diritto di primogenitura e della cosiddetta successione lineare”

Ecco chiarito il fondamento dei diritti di successione che hanno dominato la giurisprudenza ed i modi di vivere dell’Europa e che erano ancora presenti all’epoca di Adam Smith, nel Settecento, anche se ormai in crisi. Lo stesso Smith è un severo critico del diritto di primogenitura o di maggiorasco, ritenendolo dannoso sul piano economico, del tutto contrario ad una saggia gestione delle ricchezze terriere. Un patrimonio, che con la successione lineare rimane forzatamente unito per permettere che una famiglia mantenga tutto il suo prestigio negli anni e persino nei secoli, presenta un certo grado di assurdità. Smith non esita a metterlo in evidenza.

“Le leggi continuano spesso a restare in vigore molto dopo che non esistono più le circostanze che in origine le avevano prodotte e che sole potevano giustificarle. Nella situazione attuale dell’Europa, il proprietario di un solo acro di terra è perfettamente sicuro del suo possesso quanto il proprietario di centomila acri; tuttavia il diritto di primogenitura continua ancora ad essere rispettato e dato che esso è, fra tutte le istituzioni, il più adatto a sostenere l’orgoglio delle distinzioni di famiglia, è anche probabile che si manterrà per molti secoli. Sotto tutti gli altri aspetti, niente può essere più contrario al reale interesse di una famiglia numerosa di un diritto che, per arricchirne uno, impoverisce tutti gli altri figli.”


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