Toscana dell’Ottocento, il contadino-fornaciaio
![]() In “Scritti per Fanciulli “, una pubblicazione del 1854, si leggono favolette, racconti, aneddoti; non mancano esercizi di scrittura, cognizioni utili e insegnamenti vari. Si nota una favoletta di Pietro Thouar, educatore e autore di scritti che con stile piacevole descrivono la Toscana del periodo del Risorgimento italiano. Hanno intento formativo e offrono il modello di un uomo operoso, frugale ed onesto. Nella favoletta, intitolata con il noto proverbio “dove manca natura, arte procura”, non c’è la spiegazione del proverbio in sé, che in genere allude a quegli aspetti fisici non graditi che si possono correggere con qualche astuzia, ma sono descritte le esperienze di Tonio, sempre affrontate con forza d’animo anche se difficili, molto difficili. Chi è Tonio? Tonio è un contadino capace e un buon padre di famiglia, stimato da tutti per i suoi utili consigli e per i suoi inviti a non scoraggiarsi mai di fronte alle difficoltà, dal momento che “dove manca natura, arte procura”. Infatti si legge: “I vicini lo tenevano quasi in conto di un oracolo”. La famiglia di Tonio gode di un certo benessere, lavorando sodo su una terra non sua: conduce il podere di un proprietario terriero con il quale divide a metà i prodotti ottenuti. E’ questa la mezzadria, sistema che regola i rapporti fra possidenti e contadini e che risale al lontano Medio Evo ed è molto diffusa nella campagna toscana. Ma nella vita di un mezzadro dell’Ottocento le disgrazie possono giungere proprio quando meno uno se le aspetta. Annate terribili A proposito di Tonio scrive il Thouar: “Un´invernata molto più rigida dell’usato gli aveva fatto andare a male molte viti e molti ulivi del suo podere; di poi una terribile grandinata gli aveva sperperato le poche raccolte che avrebbe potuto ricavare dalle piante rimaste illese. L’anno dopo, invece di potersi riavere, gli toccano altre batoste: le piogge ostinate fecero marcire le semente e le pianticelle tenere; e infine una piena straordinaria del torrente, lungo il quale il suo podere stendevasi, ruppe gli argini, inondò i campi e la casa, portò via piante, siepi, concimi, terra lavorativa; insomma fece il letto di torrente dove prima lussureggiavano i grani, e convertì in sassi le zolle”. Qui si parla non solo di un’annata cattiva, bensì di due annate consecutive, che distruggono le colture di qualità della Toscana, come viti e olivi, e per di più il corso d’acqua vicino al podere trasforma i campi in un “letto di torrente” e rovina la casa colonica. Maledetta miseria Il relativo benessere di un tempo non c’è più e scrive il Thouar: “Tonio e la sua famiglia erano divenuti poveri, addirittura poveri “, intendendo con “addirittura” che in poco tempo si può passare da una vita decorosa alla miseria. Tonio resta solo e senza aiuti. Il padrone, anche se danneggiato, ha altre terre e altre entrate a disposizione, ma è indisponibile a tirar fuori tanti soldi: occorre ricostruire tutto il podere da cima a fondo. I vicini, che da contadini ben conoscono i guasti del tempo cattivo, sono in situazioni meno gravi, ma pensano solo a se stessi e non possono aiutarlo. Come commenta il Thouar, Tonio si trova di fronte a due sole possibilità: “o cercarsi un altro podere, ma era difficile trovarlo subito; oppure parar mano per l’elemosina”. Ma emerge subito la straordinaria capacità di sopravvivenza del contadino intelligente, che s’interessa di tutto e impara in fretta. Tonio ha sempre seguito non solo le operazioni dei suoi lavori agricoli, ma anche le tecniche dei più diversi mestieri, da quelle del carradore o carrettiere a quelle del falegname; anzi in certi casi da semplice osservatore ha offerto spunti per utili accorgimenti. Questa buona capacità d’osservazione gli permette di scoprire una risorsa che si trova proprio lì vicino, dentro il suo podere. Un nuovo lavoro da avviare con poca spesa In mezzo al disastro della piena, in un campo vicino a casa l’acqua con la sua violenza ha “fatto mulinelli e scavato una gran buca”. Tonio, scorto il materiale venuto in superficie, capisce di aver trovato un buon filone di quella particolare terra, che si chiama “terra giglia” o argilla e che serve per costruire mattoni, tegole e altri strumenti dell’edilizia. Con l’aiuto dei figli scava nella provvidenziale buca, mette alla prova il materiale e si accorge che può con successo passare da contadino a fornaciaio, cioè fabbricante di materiale edile. Presenta il suo progetto al padrone, che si convince che “ la cosa era fattibile con poca spesa”. Attenzione: con poca spesa! Tonio si scatena: diventa muratore ampliando l’aia dove far seccare i prodotti d’argilla e trasformando un locale del podere nella fornace per cuocere i prodotti stessi. Diventa boscaiolo prendendo legna dal bosco e infine acquista gli arnesi del nuovo lavoro, fra cui una pesante e robusta mazza, che è la “mazzanghera o mazzeranga per pestare l’argilla”, un banco per impastare e lavorare argilla e acqua. Non mancano le più diverse forme di legno in cui collocare l’impasto e plasmare mattoni, mezzane (mattoni schiacciati), tambelloni (grandi mattonelle), quadrelli (mattoni quadrati), pianelle (mattoni sottili), tegole, embrici (lastre di copertura dei tetti) “e via discorrendo”. Tutta la famiglia si mette al lavoro e inizia la produzione. Per di più “ non mancarono avventori, perché le altre fornaci erano assai lontane”. Probabilmente, senza mettere in dubbio l’abilità di Tonio, proprio la mancanza di un vicino concorrente, cioè di un fornaciaio di mestiere, contribuisce al successo della fornace dell’intraprendente contadino: fornace benedetta che riesce “a liberare dalla povertà lui e la famiglia”. La mezzadria, perno della campagna toscana Tonio e i suoi figlioli con il solito impegno passano negli anni successivi a piantare viti e ulivi, a recuperare il suolo concimandolo e seminandolo. L’argilla resta sempre una fonte di reddito, ma soprattutto rinasce il podere con soddisfazione del mezzadro, che ci ha messo il suo sudore, e del padrone, che forse ha sudato di meno. Si comprende quanto il contadino in genere faccia il bene suo e di tutta la campagna. Non manca neppure il contributo dei proprietari fondiari, che nel Granducato di Toscana hanno molto interesse per il miglioramento dell’agricoltura, studiando e promuovendo moderne tecniche agronomiche, come avviene con la illustre “Accademia dei Georgofili”. Tuttavia questi possidenti, famosi per i loro vini e loro olii, non amano il rischio e son privi di visioni di ampio respiro che li spingano non a poche spese, ma a numerosi investimenti capaci di cambiare a fondo la realtà agricola, liberandola dalla miseria. Sono ancora lontani dall’intraprendenza dei grandi proprietari lombardi che nella pianura padana guidano non tanti piccoli poderi, ma vaste tenute che trovano sbocco nei commerci nazionali e internazionali. Ci sono estesi campi di riso, la coltura del gelso e la bachicoltura collegate all’esportazione di seta grezza, i grandi prati artificiali per allevare bestiame: è un’agricoltura di tipo capitalistico come quella presente nella ricca Inghilterra. Già nel ‘700 l’agronomo inglese Arthur Young, visitando la Bassa padana, rimane meravigliato nel trovare una campagna che ricorda la prospera contea del Norfolk. Young sostiene che una moderna agricoltura ha bisogno di grandi fattorie ed afferma: “Dividete le grandi proprietà in poderi da cento sterline l’anno e non troverete nient’altro che mendicanti ed erbacce nell’intera contea”. Solo gli investimenti nel medio-lungo termine danno i più alti profitti e fan prosperare fattorie da 2000 e più sterline l’anno. Anche il lodevole Tonio, che pure non manca d’intraprendenza – forse più del suo padrone- e di capacità tecniche, probabilmente non convincerebbe del tutto l’esperto Young del secolo precedente che con perplessità scrive:“ l’agricoltura non ammette una divisione del lavoro” . La ricca economia inglese ha già visto sorgere numerose industrie moderne e può mettere a confronto il sistema produttivo industriale, dominato dalla divisione del lavoro e dalla specializzazione degli operai, con quello agricolo dove la divisione del lavoro non c’è. Da qui si dimostra che anche l’agricoltura sarebbe avvantaggiata da qualche forma di divisione del lavoro, con un notevole aumento della produttività dei campi e quindi con più risorse per tutti. Per Young non conviene che un solo contadino sia nello stesso tempo “pastore, bovaro, aratore, seminatore”. Che dire di Tonio, che per necessità diventa un contadino-fornaciaio? |
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