Hume: “Sul contratto originario”


David Hume (1711-1766) è un filosofo scozzese, vissuto nel periodo dell’Illuminismo, epoca in cui il pensiero europeo si libera dall’astrattezza di elaborate teorie per far appello alla concretezza dell’esperienza.
E’ un esponente della filosofia empirista, che si impegna sui numerosi problemi teorici, dalla conoscenza alla morale, dalla società alla politica, giungendo a conclusioni originali. Hume, oltre che filosofo, è autore di numerose opere di storia inglese e nella scienza politica si comporta con ironico acume sulle teorizzazioni precedenti, approdando ad uno scetticismo moderato. La realtà della storia, e quindi degli stati, si presenta così complessa e così ricca di elementi che non è possibile ricondurla ad un unico e preciso schema.

Teorie politiche
Numerosi sono stati i filosofi che hanno trattato di politica, dai “politiques” francesi agli inglesi Hobbes e Locke. Infatti Hume parla di due partiti: “L’un partito, facendo risalire il governo alla divinità, cerca di renderlo talmente sacro e inviolabile, che … debba rappresentare poco meno che un sacrilegio … contrastarlo nella più piccola cosa”; “L’altro partito … suppone che esista una sorta di contratto originario col quale i sudditi si sono tacitamente riservati la facoltà di resistere al loro sovrano ogni volta che si trovino oppressi da quella autorità che gli hanno … volontariamente affidato”.
Sono presenti i due fondamentali principi politici del Sei-Settecento: la teoria dell’origine divina della sovranità da una parte; la teoria del contratto sociale stipulato fra sudditi e sovrano dall’altra.
Per quanto accese siano le dispute tra i filosofi delle due diverse teorie, avverte acutamente Hume: “Ma, se quei pensatori si guardassero intorno, nel mondo, non troverebbero nulla che corrisponda meno alle loro idee o che possa giustificare un sistema così sottilmente logico. Al contrario, troviamo dovunque prìncipi i quali pretendono che i sudditi siano loro proprietà e fanno derivare il loro incontrastato diritto di sovranità dalla conquista e dalla successione”. Hume consiglia estrema prudenza nell’individuare astratti principi, quali il diritto divino del sovrano o il contratto originario dello stato, e forte della sua conoscenza di storico richiama tutti alla realtà del presente e del passato: il sovrano ha dimostrato la tendenza a considerare il suo rapporto con il suddito alla pari di un diritto di proprietà e di dominio.
Nella sua trattazione Hume continua con: “Troviamo, altresì, dovunque sudditi che riconoscono questo diritto del loro principe, e si ritengono nati con gli obblighi di obbedienza ad un principe nella stessa misura in cui si considerano vincolati dal rispetto e dai doveri verso i genitori. Questi rapporti sono considerati egualmente indipendenti dal nostro consenso tanto in Persia che in Cina, in Francia come in Spagna, e perfino in Olanda e in Inghilterra, cioè dovunque le teorie che abbiamo esposto non siano state accuratamente inculcate”. Il quadro sulla politica si completa perché, se prima Hume ha detto che un sovrano fonda il suo potere sulla forza, ora chiarisce che il suddito si sottomette per abitudine.
Per ogni uomo il rispetto del sovrano è un fatto indiscutibile al pari della caduta dei gravi o di altre leggi di natura.
Dice Hume: “L’obbedienza, la soggezione, divengono così abituali che la maggior parte degli uomini non indaga mai sull’origine o sulla causa di esse più di quanto non faccia per il principio di gravità, quello di attrito o per le altre leggi universali della natura”.

La polemica con Locke
Hume non esita a entrare in polemica con i suoi predecessori Hobbes e Locke, che teorizzando il passaggio da uno stato di natura, più o meno duro, allo stato civile, che offre sicurezza e ordine in cambio di obbedienza alle leggi, ritengono di aver colto il nucleo della realtà politica.
Invece lo scetticismo di Hume, che non è uno scetticismo assoluto ma è più che altro una continua ricerca, non si lascia ammaliare da brillanti schemi concettuali, ma si attiene a quello che dice la dura realtà del passato e del presente.
Se infatti i sudditi sono per tradizione disposti ad accettare l’obbligo di obbedienza, sempre che lo stato non sia troppo oppressivo e dispotico, lo stato da parte sua non esisterebbe ad imprigionare chiunque mostrasse curiosità, che potrebbe anche diventare dubbio, sulla vera origine del potere sovrano.
Così dice Hume: “Se andaste predicando, in gran parte del mondo, che i rapporti politici sono completamente fondati sul consenso volontario o su una reciproca promessa, presto il magistrato vi imprigionerebbe come ribelle per aver allentato i vincoli dell’obbedienza, semprechè i vostri amici non vi abbiano rinchiuso prima come folle per aver sostenuto tali assurdità.”


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